L’impiegata

Il telefono, il fax e il computer datato; sulla scrivania sbocciava una meravigliosa orchidea che per un anno lei aveva curato con una costanza quasi maniacale vicina ad una pila di fascicoli da processare e passare in revisione prima di essere spediti alla sede centrale della banca.

L’ufficio esposto ad est era silenzioso e luminoso, ma in inverno un pò freddo per via degli spifferi che entravano dalla finestra disastrata che nessuno aveva provveduto a far aggiustare, nonostante le sue richieste.

Ci lavorava da venti anni in quel posto assurdo, non le era mai piaciuto, non amava i colleghi e non amava il capo ufficio, un vecchio porco lardoso che non perdeva occasione di farle delle avance.

Lei sapeva tenerlo a bada, d’altronde c’era abituata, era una bella donna e questo sembrava autorizzare i maschi di mezz’età, frustrati e infelici, a provarci.

Quel pomeriggio era da sola, tutti i colleghi erano andati in ferie lasciandogli una mole immensa di lavoro, capitava sempre così. Era un ambiente  maschilista, il peggiore che avesse mai visto, gente cattiva che non perdeva occasione per  fare piccoli dispetti e anche grossi torti o azioni indegne pur di primeggiare.

Quando sarebbe arrivato il momento del tanto desiderato riposo? Mai come quest’anno ne aveva bisogno, un pò di tranquillità finalmente, il mare, la famiglia, un buon libro e un gelato, stare in spiaggia fino al tramonto… non chiedeva infondo niente di più in quell’agosto strampalato e carico di tensione.

D’improvviso un forte rumore, come di un mobile caduto, la fece sussultare, proveniva dal piano di sopra!

La sua mente percorse tutte le tappe dell’ipotetica tragedia che da li a poco si sarebbe consumata, come solo la mente di una donna sa fare: era da sola, in strada non c’era nessuno e la guardia giurata, che controllava l’entrata, era andata a prendere un caffè con un collega e non era ancora tornato.

Si sentiva angosciata, nessun altro, oltre a lei, doveva trovarsi a quell’ora nell’edificio! Cos’era stato dunque quel rumore!? Chi l’aveva provocato?!

Provò a chiamare il marito, più volte, ma il telefono  non dava segni di vita, capitava spesso quando lui era dalla madre che viveva in campagna.

Allora, prese la borsa e le chiavi dell’auto e lasciò  in fretta la stanza per  andare fuori in strada e aspettare l’arrivo di qualcuno. Se non altro avrebbe avuto  una possibilità di fuga, in caso di pericolo.

Aprì la porta, che dal corridoio portava all’uscita principale e se lo ritrovò davanti, propio ai piedi delle scale che dal piano superiore portavano all’atrio…

Uno sconosciuto corpulento, con gli occhi neri, minaccioso era di fronte a lei e le bloccava il passaggio.

I loro sguardi s’incrociarono e in quell’istante, che sembrò interminabile, lei percepì una forza oscura dentro quegli occhi, capaci di ogni cosa, anche di uccidere. 

Quell’intruso era inquietante, decisamente, e lei non lo aveva mai visto prima!

Rimase immobile, come in preda ad un’improvvisa paralisi, pur volendo fuggire. La gola divenne asciutta , le mani e le gambe iniziarono a tremare involontariamente senza che lei riuscisse a fermarne la convulsione.

Perché? perché non era rimasta nella sua stanza? perché non si era chiusa dentro?!? sarebbe stata più al sicuro! Invece, la sua paura l’aveva portata a cacciarsi in quella situazione.

Si girò di scatto ubbidendo ancora una volta all’istinto e ritrovò quella forza interiore, ancestrale, dettata dalla paura. Corse verso il suo ufficio, lungo il corridoio. L’intruso a sua volta le corse dietro,   con uno scatto possente, intenzionato a non farsela sfuggire.

Urlò, nella speranza che qualcuno la udisse, ma nessuno, nessuno avrebbe sentito le sue urla di terrore, nessuno!

Sarebbe finita li la sua vita? perché lei, perché proprio a lei?! com’era entrato?! La guardia che prima era li non lo aveva visto?!

Come accade spesso nei momenti di grande pericolo la mente  ripercorre gli episodi della nostra esistenza, fotogramma per fotogramma, quasi volesse farne un resoconto finale prima del blackout definitivo.

In un millesimo di secondo si rivide bambina, poi ragazza, poi donna.  Rivide il momento del suo “Si” davanti all’altare e l’immagine dei suoi figli le si stampò fissa nella mente, mentre cercava di raggiungere la sua stanza, in una disperata corsa per sfuggire a  quell’aggressore sbucato fuori dai suoi peggiori incubi.

Le cadde la borsa , inciampò e si ritrovò a terra senza più difese, – “È la fine!” –  pensò.

Lui le si scaraventò addosso, con tutto il peso del suo corpo, e la teneva ferma sul pavimento.

Con la bocca vicina alla sua bocca, le pressava i seni e l’addome, bloccandole il respiro.

La sua paura più grande si stava materializzando, in un pomeriggio di agosto e nella solitudine di un luogo familiare che aveva sempre ritenuto sicuro.

Piangeva, impotente, mentre lui le strappava i vestiti .

Pregava e  piangeva, si dimenava nel tentativo di evitare  quella bocca che, frenetica, voleva unirsi alla sua. Aveva l’alito fetido e la sua lingua, nonostante lei cercasse di sfuggirgli, arrivava dappertutto, senza più controllo. Sempre più eccitato dalle sue urla spingeva il suo corpo possente sul suo esile e piccolo.

Con la coda dell’occhio intravide un uomo, vestito di nero, che si avvicinava correndo, minaccioso, con qualcosa in mano…

L’uomo lo afferrò per il collo e incomincio a stringerlo, con una specie di corda, chiamandolo per nome!

Poi agganciò il guinzaglio al collare e tirò forte per toglierglielo di dosso… lei, come una gazzella che sfugge agli artigli del predatore, si alzò e corse a chiudersi nel suo ufficio, trafelata, discinta e tremante.

Che ci faceva un cane dentro la banca?! Lei aveva il terrore dei cani, anche di quelli piccoli, anche di quelli innocui, figuriamoci di questo grosso molosso!!!! 

Un rottweiler!!! Per fortuna  addestrato, che voleva solo giocare!

La guardia giurata lo aveva lasciato in auto, con il cofano semiaperto per fargli prendere aria dentro la gabbia chiusa. Probabilmente era  riuscito ad aprirla e fuggire per poi intrufolarsi nell’edificio.

Il piccolo Tommy era un giocherellone, in fondo era ancora un cucciolo di appena un anno…

 

Bruno Tassone

2 pensieri riguardo “L’impiegata

  1. Bellissimo…a metà racconto ho pensato ad un triste epilogo, invece…complimenti Bruno!Ho sempre letto con piacere anche i tuoi post su facebook, trovo in loro una certa poesia… Farai strada 😘

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